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26/08/2016 - “BONUS PRIMA CASA”: RILEVA LA RESIDENZA DEL NUCLEO FAMILIARE

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Per l’agevolazione “prima casa” rileva la residenza del nucleo familiare nel caso in cui  l’acquisto dell’immobile sia effettuato da due coniugi in regime di comunione legale dei beni, potendo i due coniugi avere residenze diverse. Spetta, dunque, al contribuente fornire la prova che nell’immobile si realizzi la coabitazione dei coniugi, elemento adeguato a soddisfare il requisito della residenza ai fini tributari. Questo è quanto affermato dalla suprema Corte con la sentenza n. 13334 del 28 giugno 2016. Nello specifico, due coniugi acquistano un immobile in regime di comunione dei beni, richiedendo le agevolazioni prima casa. L’ufficio, con avviso di liquidazione, recupera le ordinarie imposte di registro, ipotecaria e catastale su detto acquisto agevolato, limitatamente alla quota del 50% spettante a uno dei due coniugi, sul presupposto che uno dei due acquirenti non ha trasferito, nel termine di diciotto mesi dall’acquisto, la propria residenza nel comune di ubicazione dell’immobile. Sia la Commissione tributaria provinciale che regionale rigettano il ricorso del contribuente, il quale poi ricorre in Cassazione. La suprema Corte, nell’affermare che l’agevolazione prima casa, nell’ipotesi di acquisto da parte di due coniugi in regime di comunione legale, va ancorata al requisito della residenza della famiglia (come soggetto autonomo rispetto ai coniugi), ha rigettato il ricorso del contribuente, con valutazione di merito incensurabile in sede di legittimità, non avendo questi provato che l’immobile fosse stato adibito a residenza familiare, poiché neppure risultava quale fosse la composizione del nucleo familiare. Viene confermato, dunque, il più recente orientamento di legittimità (Cassazione nn. 25889 e 16355 del 2015) secondo cui, ai fini dell’agevolazione prima casa, nell’ipotesi di acquisto compiuto da due coniugi in regime di comunione legale, il requisito della residenza va riferito alla famiglia, quale soggetto autonomo rispetto ai coniugi. Si tratta di un’interpretazione estensiva del dato letterale, che trova la sua ratio nella tutela costituzionale della famiglia di cui all’articolo 29 della Costituzione, in base al quale “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.