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27/03/2025 - CONGEDO PARENTALE, QUANDO SI PUO' INTERROMPERE

Non è un abuso da punire con il licenziamento, l'allontanamento del genitore dal figlio durante un periodo di congedo parentale per finalità di solidarietà familiare. Lo ha stabilito la Cassazione nell'ordinanza 6993 2025. Vediamo nel dettaglio la vicenda e la decisioni della Suprema corte. Il caso riguarda il licenziamento di un determinato soggetto (B.B. queste le iniziali di nome e cognome), accusato di abuso del congedo parentale per un periodo di 10 giorni (dal 2/4/2019 al 13/4/2019).  Ritenendo tale comportamento in contrasto con la finalità del congedo, l’azienda aveva preso la decisione di interrompere il rapporto di lavoro. Il soggetto in questione aveva però impugnato il licenziamento, portando la questione in tribunale. Nell'analisi del caso la Corte d’Appello di Trento ha ritenuto che non ci fosse stato un vero abuso del congedo parentale. È emerso infatti dagli accertamenti del caso che: nel periodo contestato, il soggetto si era effettivamente preso cura del figlio, ma poi aveva dovuto recarsi in Marocco per assistere la madre malata. Il bambino era rimasto in Italia, ma sotto la custodia della madre, quindi non era stato lasciato solo. Non c’erano per tale motivo le prove che il lavoratore avesse approfittato del congedo per svolgere un altro lavoro o dedicarsi ad attività incompatibili con la finalità assistenziale. Secondo la Corte, si trattava di una situazione eccezionale e urgente, che rientrava comunque nell’ambito dei doveri di solidarietà familiare, previsti anche dalla costituzione Italiana. Dunque, non si poteva parlare di abuso del diritto al congedo parentale, né si poteva sostenere che il lavoratore avesse violato la buona fede o il rapporto di fiducia con il datore di lavoro. E' stato dichiarato illegittimo il licenziamento, ordinando alla società di reintegrarlo nel posto di lavoro e di risarcire il danno, pari a  12 mensilità di stipendio. Inoltre, la Corte d'Appello aveva ritenuto illegittimi alcuni provvedimenti disciplinari precedenti subiti dal lavoratore, condannando il datore di lavoro a restituire somme trattenute in busta paga. Non accettando l'appena citata decisione, la società  ha fatto ricorso in Cassazione, sollevando ben sei motivi di impugnazione, tra cui: La motivazione della Corte d’Appello sarebbe stata contraddittoria e non avrebbe rispettato i principi costituzionali; La decisione sarebbe in contrasto con l’articolo 32 del D.Lgs. 151/2001 sul congedo parentale; La Corte avrebbe sottovalutato la gravità della violazione del rapporto fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro; Non avrebbe considerato che il congedo parentale era stato richiesto per assistere il figlio, non la madre; La Corte avrebbe erroneamente ritenuto provata l’urgenza del viaggio in Marocco; Il comportamento del lavoratore avrebbe comunque avuto rilevanza disciplinare. La Corte di Cassazione, studiando il caso, ha deciso di rigettare il ricorso, confermando la sentenza della Corte d’Appello. Ribadendo inoltre alcuni principi chiave: Non c’è stato un abuso del congedo parentale, perché il soggetto non ha sfruttato il periodo per finalità diverse da quelle assistenziali; L’assenza del lavoratore non ha minato il rapporto di fiducia con il datore di lavoro. La Corte d’Appello ha effettuato una valutazione completa della situazione, tenendo conto non solo della quantità di tempo trascorso lontano dal figlio, ma anche delle circostanze eccezionali (ossia l’assistenza alla madre malata). Il concetto di abuso del permesso implica un intento fraudolento, che in questo caso non è presento, o almeno, non è stato dimostrato. Per concludere, la Cassazione ha sottolineato che la disciplina sui congedi parentali deve essere interpretata in modo elastico e ragionevole, bilanciando le esigenze familiari con quelle lavorative. Non esiste, afferma la Corte, un automatismo secondo cui ogni mancata assistenza diretta al minore costituisce un abuso.