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10/10/2017 - EVASIONE FISCALE NELL’AREA UE: L’ITALIA MIGLIORA, MA RIMANE IN TESTA

Ogni dato fornito da statistiche, studi e ricerche in qualsivoglia settore è sempre soggetto a interpretazioni e analisi, tanto da suscitare spesso reazioni diverse che, in alcuni casi, possono anche risultare diametralmente opposte; anche i numeri legati ad un fenomeno tristemente noto e largamente diffuso come l’evasione fiscale si prestano a diverse conclusioni, fermo restando l’obiettivo chiaro a tutti che tanto lavoro occorrerà ancora fare per una battaglia che si conferma, anno dopo anno, difficile e ricca di insidie. Prendendo spunto da uno studio condotto dalla Commissione Europea relativo all’evasione fiscale nel 2015, si potrebbe infatti vedere il classico bicchiere mezzo pieno nel constatare che la situazione del nostro Paese presenta un leggero miglioramento, con 35 miliardi di euro persi nel raffronto fra il gettito iva prevedibile e quanto poi realmente incassato: numeri importanti, ma in calo rispetto agli ultimi anni, a conferma di un trend che, seppur lento, è positivo. Nel 2011, infatti, tale gap era di 41 miliardi, mentre nel 2014 era già sceso a 38 e nel 2015, come detto, si è assestato a 35 miliardi di euro. Ma il dato assoluto, comunque negativo, ci proietta di nuovo in testa, poiché è il più alto fra i Paesi UE.

“Sebbene i dati segnalati dalla Commissione Europea indichino il costante miglioramento fatto registrare dal nostro Paese –sono le parole dell’Amministratore Unico del Caf Italia, la Dott.ssa Maria Emilda Sergio- resta il fatto che l’Italia è ancora lo Stato che più di ogni altro soffre la piaga dell’evasione fiscale, poiché da noi più che in ogni altro Paese lo scarto fra somme attese e somme versate resta molto alto. Di sicuro bisogna capire cosa c’è di buono nelle strategie finora utilizzate, e che hanno permesso quantomeno di ridurre il dato negativo –prosegue la Dott.ssa Sergio- ma occorre intensificare gli sforzi e adottare anche nuove e più valide soluzioni per ottenere risultati migliori, sia nel breve che nel lungo periodo”.

L’evasione nell’area Euro, a cui contribuisce in maniera importante anche l’Italia, si aggira sui 152 miliardi nel 2015. Ma anche altre nazioni dovranno continuare, e anzi progredire, nella battaglia contro tale fenomeno; se l’Italia è quella che, in termini assoluti, è in testa alla graduatoria, in termini percentuali le perdite maggiori sono fatte registrare da Romania, Slovacchia e Grecia. Nota di merito invece per Spagna e Croazia, che hanno perso solo il 3,5% e il 3,9%. Ad ogni modo, il tema dell’evasione è sempre più al centro delle politiche europee, come dimostra il fatto che per il prossimo mese di ottobre è atteso un progetto di riforma della normativa Iva, con l'intento di attuare la più ampia revisione degli ultimi 25 anni. L'intenzione è quella di rendere più facile la tracciabilità della frode Iva dovrebbe e più efficiente la riscossione. La riforma dell'attuale sistema Iva dovrebbe, per la commissione Ue, inoltre, contribuire allo sviluppo del mercato unico digitale e perseguire gli obiettivi fissati dalla Commissione per ottenere un sistema fiscale più equo e più efficiente.

“Una lotta efficace e costante a fenomeni come evasione ed elusione –dice la Dott.ssa Maria Emilda Sergio- è ormai improrogabile, e appare tra l’altro quanto mai possibile in questo periodo. Gli strumenti tecnologici a disposizione oggi degli Stati, la volontà comune di debellare una piaga economica e sociale diffusa e la possibilità di unire le forze anche attraverso lo scambio dei dati, sono tutti fattori che offrono ai vari Paesi una straordinaria opportunità. Un Fisco sano è l’anticamera di un sistema equo e trasparente; ma ricordiamo ancora una volta –conclude l’Amministratore Unico del Caf Italia- che il concetto di equità fiscale non può essere scisso da quello di sostenibilità, per cui ben venga una lotta senza quartiere all’evasione, ma senza mai mettere da parte la necessità di un sistema fiscale a misura di cittadino sotto ogni punto di vista, che permetta cioè alle aziende e ai lavoratori di non sentirsi oppressi, ma di contribuire secondo le proprie reali potenzialità alle spese dello Stato”.