23/11/2017 - CONTENZIOSI COL FISCO, I CONTRIBUENTI LA SPUNTANO SOLO 3 VOLTE SU 10
Quando il risultato di un confronto, qualunque sia il campo in cui i due contendenti si fronteggiano, vede una delle due parti prevalere per 4 a 3, la mente della quasi totalità degli italiani vola al mitico confronto calcistico tra Italia e Germania, conclusosi appunto col punteggio di 4 a 3 a favore della nostra nazionale. La vittoria italiana in questione però, che all’epoca ci consentì di battere gli storici rivali nella semifinale dei Campionati Mondiali di calcio in Messico nel 1970, proiettandoci nella sfortunata finale poi persa contro il Brasile di Pelé, è stata soppiantata in questi giorni da un altro 4 a 3 che si è preso la scena sui principali mezzi di comunicazione, e che ha sicuramente un’aura meno leggendaria ed edificante: si tratta della sfida, “giocata” sul campo dei contenziosi, tra il Fisco e i contribuenti. Negli esiti riferiti ai contenziosi fiscali registrati in tutte le Commissioni tributarie provinciali del Paese, infatti, nel 45% dei casi definiti nel 2016 ha avuto ragione il Fisco, nel 31,5% invece, ha vinto il contribuente. L'11,8% si è risolto con un giudizio intermedio, l'1% con un condono e il 10,7% con un condono o con altri esiti.
“Il difficile rapporto che attualmente lega il Fisco ai contribuenti nel nostro Paese –dice la Dott.ssa Maria Emilda Sergio, Amministratore Unico del Caf Italia- dipende sicuramente da numerosi fattori, non tutti legati unicamente al sistema fiscale, ad ogni modo di certo non impeccabile. Ma se è vero che l’Erario nostrano non rappresenta oggettivamente un modello virtuoso che gli altri Paesi ci invidiano o che viene indicato come esempio da seguire, è innegabile che esistano anche altri elementi che intervengono per peggiorare la situazione, come ad esempio la crisi economica globale che ha caratterizzato il periodo storico attuale o l’elevato tasso di evasione e di elusione fiscale riconducibile al non rispetto delle regole da parte di cittadini e aziende. Ad ogni modo –aggiunge la Dott.ssa Sergio- i contribuenti che decidono di arrivare a un contenzioso contro il Fisco sono mossi solitamente dalla convinzione, spesso errata, di aver subito un torto o di versare indebitamente delle quote non dovute: questo nasce, evidentemente, anche da un sistema fiscale complesso e non di facile interpretazione per i cittadini. Se a tale considerazione si aggiunge l’idea che l’elevata pressione fiscale crea enormi difficoltà a moltissime persone, il senso di un sistema sostanzialmente poco attento alle esigenze dei contribuenti o, nella peggiore delle ipotesi, addirittura poco equo, si insinua nella mente di cittadini che si trovano spesso in reale difficoltà”.
Vanno poi considerate altre questioni, di non secondaria importanza, come ad esempio il fatto che il ricorso non evita il versamento, anche se parziale, di quanto richiesto dal Fisco, poiché nel caso di un avviso di accertamento è prevista, ad esempio, la riscossione di un terzo delle imposte contestate; per fare un’altra ipotesi, nel caso di sentenza avversa al contribuente in primo grado, è necessario versare due terzi degli importi dovuti a titolo di imposta ed interessi, al netto di quanto già versato, prima di ricorrere in secondo grado. Se a ciò si aggiunge che il tempo medio della giustizia tributaria è di circa 2 anni e 2 mesi per ognuno dei due gradi del giudizio, si spiega come per importi "piccoli" al contribuente convenga pagare piuttosto che ricorrere. L'analisi dei giudizi pendenti presso le Commissioni Tributarie evidenzia come a partire dal 2012, si registri un calo progressivo che ha portato la giacenza a scendere al di sotto delle 500 mila unità nel 2016 (469.048 liti pendenti), prevalentemente a causa all'introduzione dell'istituto della "mediazione". Dal 2012 infatti, nel caso di controversie di importo sino a 20.000 euro, esiste una fase anteriore alla procedibilità del ricorso in primo grado. In questa fase, l'Agenzia delle Entrate ovvero gli enti parti della controversia, prendono in considerazione il reclamo presentato dal contribuente che può contenere anche una proposta di accordo (mediazione).
“Una pressione fiscale pesante, in alcuni casi insostenibile, unita ad un sistema complesso e di difficile interpretazione, può purtroppo veicolare ¬–è la riflessione dell’Amministratore Unico del Caf Italia- l’idea di un Fisco iniquo. Se poi, una volta che il contribuente fa ricorso e scopre di avere ragione, si trova comunque impigliato nelle maglie della burocrazia e si trova costretto, suo malgrado, ad affrontare ulteriori spese, il rapporto di fiducia verso il Fisco e, per estensione, verso le istituzioni e lo Stato, rischia di subire ulteriori contraccolpi. Termini come equità, trasparenza, chiarezza, sostenibilità –conclude la Dott.ssa Maria Emilda Sergio- restano a nostro parere le parole d’ordine imprescindibili, i punti fermi su cui puntare se davvero si vuole creare una nuova fase nei rapporti col Fisco”.