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29/03/2018 - MATERIE PRIME, SE INFORMAZIONE NON È VERA SI HA FRODE IVA
Mentire sull’autenticità dei prodotti utilizzati è una colpa eticamente molto grave, che ha però anche ripercussioni a livello legale. Tale assunto è ormai comprovato e ha trovato ulteriore conferma in seguito a una vicenda che visto coinvolte una società: per chiarire gli aspetti normativi della vicenda si è reso necessario il ricorso al parere dei giudici. Un’impresa impegnata nella lavorazione del ferro aveva acquistato alcune lastre lavorate e le aveva spacciate per materie prime: ciò aveva comportato l’incasso di un risparmio fiscale indebito, e l’ufficio Iva aveva provveduto a contestare le fatture qualificandole come soggettivamente false; l’inchiesta penale che ne era derivata aveva portato al recupero a tassazione impugnato con successo dall’impresa. L’ultima parola però è stata detta dalla Corte di Cassazione, che ha ribaltato il verdetto mediante l’ordinanza n. 6273 dello scorso 14 marzo 2018, provvedimento che quindi ha di fatto accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. Secondo la Cassazione, infatti, la fattispecie concreta, come già fatto dalla Ctp, consistesse nell'acquisto di beni di un determinato tipo (materiale lavorato) fatto però apparire, sulla scorta di fatture false, quale acquisto di beni di altro tipo (materia prima): la diversità di tipologia di beni acquistati era in grado di garantire l'indebito vantaggio fiscale, ragione per la quale era legittimo procedere al recupero dell'Iva. In definitiva, dunque, se l’azienda procede all’acquisto di beni già lavorati che scontano l’imposta del 22% spacciandoli per materie prime e beneficiando di un risparmio fiscale indebito, si è al cospetto di frode fiscale e, di conseguenza, l’amministrazione può procedere al recupero dell’Iva.