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18/04/2018 - DEDUCIBILITÀ SULLE PERDITE: NECESSARIO VALUTARE CASO PER CASO

Come si traduce in ambito fiscale la rinuncia ad un determinato credito? In altri termini, il verificarsi di tale fattispecie prevede come logica conseguenza la deducibilità? Sulla questione si è espressa, a seguito di un fatto concreto, la Corte di Cassazione, cogliendo il destro per fornire una spiegazione più ampia che comprende, in generale, la questione nella sua interezza. Per mezzo della Sentenza n. 7032 datata 21 marzo 2018, gli ermellini hanno fatto comprendere come la rinuncia anche solo parziale di un credito, atto recettizio e unilaterale, genera una perdita: la deducibilità di tale perdita, però, necessita di una valutazione che tenga conto della specificità del singolo caso, sulla scorta di elementi probatori inequivocabili, caratterizzati da certezza e precisione, ossia in grado di dimostrare la reale ed effettiva inesigibilità del credito; va evidenziato come la rinuncia a un credito non equivale ad un atto di liberalità. Per la deducibilità della perdita, la Commissione tributaria regionale, in merito alla vicenda che ha poi originato la sentenza sopra menzionata, si era basata sul fatto che la società debitrice non era iscritta alla camera di Commercio: la sua irreperibilità, unita all’ammontare del debito non particolarmente elevato e alle spese da sostenere per il recupero della somma, rendeva di difficile realizzazione tale recupero. La Corte evidenziava invece come la Ctr in realtà non avesse precisato su quali elementi si fondasse il proprio ragionamento, ossia quali fossero, e in base a quali riscontri, le asserite spese per il recupero giudiziale (in Spagna), tali da rendere antieconomico l'avvio di un'azione giudiziale, né quale fosse l'effettivo stato patrimoniale della debitrice, né, infine, da cosa risultasse l'asserita irreperibilità della medesima.