click 531
24/05/2018 - LA FUSIONE NON IMPLICA SEMPRE L’ELUSIONE FISCALE
Fusione non è necessariamente sinonimo di elusione ai danni del Fisco, neanche se da tale operazione si dà origine a un rilevante vantaggio fiscale: l’irregolarità può essere accertata e condannata solo qualora tale operazione avesse violato le norme esistenti. A stabilirlo è la Corte di Cassazione che, mediante la Sentenza n. 11436 dell’11 maggio 2018, ha respinto il ricorso presentato dall’Agenzia delle Entrate. Il fatto aveva riguardato la preliminare svalutazione delle partecipazioni da parte della controllante al 100% poi seguito dalla fusione. Quindi le perdite maturate nell'esercizio precedente erano state riportate in quello successivo, come espressamente autorizza il Testo unico delle imposte sui redditi: tale operazione, indubbiamente vantaggiosa, non può però essere catalogata come abuso del diritto. I giudici hanno infatti ricordato che, in materia tributaria, l'opzione del soggetto passivo per l'operazione negoziale fiscalmente meno gravosa non è sufficiente a integrare una condotta elusiva, essendo necessario che il conseguimento di un «indebito» vantaggio fiscale, contrario allo scopo delle norme tributarie, costituisca la causa concreta della fattispecie negoziale e, ancora, che la scelta di un'operazione fiscalmente più vantaggiosa non è sufficiente a integrare una condotta elusiva, laddove sia lo stesso ordinamento tributario a prevedere tale facoltà, a condizione che non si traduca in uso distorto dello strumento negoziale o in un comportamento anomalo rispetto alle ordinarie logiche d'impresa, posto in essere per realizzare non la causa concreta del negozio ma esclusivamente o essenzialmente il beneficio fiscale.